IL COMANDANTE

All’inizio fu Speedy Gonzales. Sorprese tutti noi per la destrezza e la velocità con cui il volontario della Misericordia guidava la macchina di servizio per condurmi a Siena dove mi sottoponevo alla mia quindicinale immunoterapia oncologica.

Mio marito, a causa dei suoi problemi alle anche e alle ginocchia, non ce la faceva più a accompagnarmi a questi appuntamenti essenziali per la cura del mio melanoma e, nel tentativo di trovare una soluzione a questo problema, mi era tornato in mente che il mio medico curante una volta mi aveva accennato che la Regione Toscana offriva, attraverso le Misericordie, questo servizio gratuito ai suoi assistiti. Temevo fosse burocraticamente più complicato, invece bastò una richiesta del Reparto d’Immunoterapia Oncologica, in cui sono tutt’ora in cura, per accedere a questo servizio.

“L’uomo di Siena si chiama Luigi.” mi dissero subito, quando mi presentai con le mie consuete titubanze e incertezze, allo sportello della Misericordia di Porto S. Stefano “Nel senso che è sempre lui che fa il servizio a Siena” aggiunsero a mo’ di chiarimento. Cercai di memorizzare subito il nome come un bene prezioso da conservare. “In realtà noi lo chiamiamo Taddeo…sa in paese ognuno ha il suo soprannome…però il suo vero nome è Luigi!”

“Aaah!” balbettai, basta molto meno per destabilizzarmi, poi con il mio solito complesso di scolaretta diligente e pedante, puntualizzai “…comunque è il signor Luigi?!”

“Sì, sì!…ecco il suo numero di telefono, si metta d’accordo con lui per gli orari e a noi faccia avere sempre in tempo la richiesta dell’ospedale!”

“In tempo, quando?”

“Il prima possibile…un fax almeno due giorni prima!” (Infatti il primo fax, seppure inviato in tempo, non fu mai recepito scivolando via nella lunga lista di richieste e creandomi le solite ambasce per risolvere definitivamente il problema in modo che il disguido non si ripetesse.)

“Benissimo, grazie, grazie!” profondendomi in ringraziamenti, con il prezioso foglietto con il numero del cellulare del signor Luigi stretto in mano, me ne tornai a casa organizzando mentalmente la telefonata, le cose che dovevo dire, come dovevo dirle rivolgendomi ad una persona che mi era del tutto sconosciuta e che, quindi, m’intimidiva.

Mi rispose una voce senza fronzoli, un po’ distaccata ed essenziale nelle parole con una leggera venatura di stanchezza come di chi ha già cento volte ascoltato le stesse richieste e le stesse ansie. Infatti ascoltò con pazienza tutti i miei sproloqui di scuse e ringraziamenti, barriere dietro le quali mi nascondo per celare l’imbarazzo, e in breve concertammo il giorno, l’ora e l’indirizzo. In quel periodo, nella speranza di finire prima, partivamo alle sei di mattina dall’Argentario per arrivare a Siena alle sette e mezzo, subito appena apriva il reparto. In seguito, visto l’inutilità delle alzatacce tanto finivo comunque la terapia non prima delle tre del pomeriggio, siamo addivenuti ad orari più umani: partiamo alle otto.

Era ancora buio pesto, quindi, quando per la prima volta l’auto della Misericordia rallentò e si acquattò presso il cancello grande della nostra casa. Mio marito ed io, ombre nel buio mattutino intabarrate in giacconi, cappelli e sciarpe, in grande anticipo sull’orario fissato, aspettavamo in piedi (appoggiato alla stampella lui, dondolando da un piede all’altro io) di vedere apparire il “mezzo attrezzato”, come mi avevano anticipato alla Misericordia, domandandoci se sarebbero stati puntuali e se io fossi stata abbastanza chiara nell’indicare data, ora e indirizzo.

Dopo l’ennesima volta che mio marito mi domandava che ore fossero, con un ritardo di soli due o tre minuti, “il mezzo attrezzato”, in realtà una Fiat Punto vetusta di anni e di chilometri, arrivò, ci caricò e ci trasportò a destinazione con l’impeto di un destriero.

Il signor Luigi risultò essere un portosantostefanese, vissuto tanti anni a Savona, con alle spalle quarant’anni di carriera come Comandante di navi e rimorchiatori. Era brusco e simpatico, con sorrisi improvvisi, un po’ ringhiosi ma spontanei. Abituato a pilotare navi nei grandi spazi marini, pilotava la Punto nelle strette rotte stradali con abilità e accortezza. Nei primi viaggi mi accompagnava anche mio marito ed io, seduta sul sedile posteriore, non seguivo molto la conversazione del signor Luigi con Alfredo, ma dormicchiavo o mi concentravo su come sarebbe andato quel giorno l’inserimento dell’ago per il prelievo, visto la difficoltà di trovarmi una vena valida dopo i tanti accessi venosi subiti negli anni grazie alle operazioni, alle pancreatiti ed ora alla terapia immunologica. Dopo qualche tempo, però, fui io stessa a chiedere a mio marito di non venire più, salvo casi d’emergenza, per l’evidente fatica che faceva a trascinarsi lungo i corridoi dell’ospedale per accompagnarmi al reparto.

Fu allora che, seduta sul sedile anteriore, cominciai a far conoscenza con il signor Luigi, detto Taddeo dai paesani e dalla moglie chiamato Elio. E fu allora che per me diventò il Comandante.

Mi ha insegnato il nome dei venti e spiegato le correnti, mi ha raccontato di bufere e bonacce, di ricerche notturne di cale riparate in porti sconosciuti per difendersi dalla tempesta che sconquassa il mare, dei rischi e dei piaceri di una vita trascorsa tutta sul mare, a capo di equipaggi che gli ubbidivano e lo rispettavano. Ormai in pensione, anni fa era diventato un volontario della Misericordia dopo che sua moglie era stata colpita da un tumore al seno. Con la voce rotta dalla commozione, mi ha raccontato che, uscito da quella paurosa esperienza dopo che la moglie aveva debellato la malattia facendosi operare e curare, aveva deciso di dedicare molto del suo tempo ad aiutare gli altri, mettendosi a loro disposizione. Diventò così “l’uomo di Siena”, avanti e indietro con perizia e speditezza dall’Argentario a Siena a portare, assistere, consolare e principalmente aspettare che i pazienti (io in particolare) finiscano le terapie e possano tornare a casa.

Nelle lunghe ore di attesa al reparto d’immunoterapia, sono tanti i volontari come il Comandate che vedo prodigarsi con generosità per aiutare i malati che trasportano, spesso in carrozzella, ma anche per confortare i parenti che li accompagnano, che a volte appaiono più smarriti e angustiati del paziente stesso. Poi li consegnano agli infermieri che subentrano attenti, premurosi, disponibili, consapevoli di quanto sia delicato e impegnativo il loro compito verso pazienti con complesse patologie oncologiche. I pazienti passano dal sostegno dei volontari alla nicchia protettiva degli infermieri, che li accolgono con professionalità e premura mentre li sottopongono alla terapia, mirata a debellare o mitigare la propria patologia oncologica.

Il mio Comandate è molto discreto, non mi chiede mai del mio male né di come procedano le terapie, ma mi distrae con mille altri racconti. Mi mette in guardia per il fatto che se i suoi dolori alle mani e alle ginocchia dovessero peggiorare e non potesse più fare continuamente l’andirivieni in macchina fra l’Argentario e Siena io mi troverei nei guai, ma subito lo tranquillizzo rassicurandolo che prima che questo accada, io sarò già morta. Concioniamo di politica, per fortuna la pensiamo allo stesso modo, per poi concludere che siamo abbastanza disperati per la situazione in atto. Parliamo di cani, del suo Holly, il cane “parlante” con cui ha un rapporto quasi simbiotico, inizialmente acquistato come regalo per la nipotina che tanto lo desiderava e poi, dopo un anno, rimbalzatogli indietro per sopraggiunti problemi di organizzazione familiare o della mia Cloe, principessa languida e silenziosa. Raccontiamo le gesta di mogli (la sua, accanita lettrice che divora un libro dopo l’altro, spolverando biblioteche e librerie, passione che suscita tutta la mia ammirazione e il mio rispetto), di mariti (il mio, appassionato giocatore di scacchi e cruciverbista) e di nipotini (i nostri, bimbe e bimbi la cui crescita ci delizia ma il cui futuro, in questo mondo spietato, ci preoccupa. Ricordiamo momenti lontani della nostra giovinezza a Porto S. Stefano quando io venivo solo per le vacanze, ma avevo eletto l’Argentario e i suoi incanti come mio luogo del cuore e sostegno alle mie fragilità, mentre lui, nato e cresciuto in questi posti, finito l’Istituto Nautico, aveva intrapreso la carriera marittima che lo aveva portato per lunghi anni a lavorare lontano. La pensione lo ha ricondotto a casa mentre la mia ultima malattia mi ha consegnato definitivamente all’approdo sicuro del “promontorio d’argento” con l’ornamento delle sue contigue lagune e dei suoi tomboli, archi di sabbia e pineta che lo ancorano, eleganti e tenaci, alla solidità della terraferma.

“Comandante, che vento soffia oggi?” gli chiedo quando iniziamo a “navigare” a vele spiegate verso Siena. E mentre lui continua a spiegarmi che i venti prendono il nome dal punto cardinale da cui soffiano e le correnti marine, invece, dal punto verso cui sono dirette, mi domando se sarà il fragore vigoroso delle onde del Maestrale o lo sconquasso tempestoso del Libeccio o forse il leggero sciacquio della quieta cala del Pozzarello ad accompagnarmi nell’ultimo tratto. E condurmi all’arrivo. Nel viaggio di ritorno a volte ci concediamo una piccola piacevolezza: gustiamo un Pocket Coffee per uno e per appagare la gola e per ritemprarci dopo tante ore di attesa.

Ma poi arrivò il Covid 19 e spazzò via tutto: sostituì ai nomi familiari scritti o incisi sulla Rosa dei Venti, dei soffi sconosciuti e spietati che rovesciarono sul Pianeta una tempesta cupa e maligna che incusse spavento negli esseri umani, sparpagliò ovunque paura, morte, sofferenza e violenza. Il Comandante, poiché rientrava come età nella fascia più a rischio, fu giustamente consigliato di rinunciare temporaneamente ai suoi impegni nel volontariato, onde evitare, frequentando gli ospedali, maggiori rischi di contagio. La tempesta del Covid 19 rubò migliaia di vite,uccise la compassione e l’afflizione, seccò le lacrime dell’addio e fece sparire le salme, che di notte vennero caricate sui camion dell’esercito e portate lontano, lontano dagli affetti che in vita avevano accompagnato il loro percorso e che ora nemmeno potevano accompagnarli con il loro dolore e il loro rimpianto alla sepoltura. Il Comandante, l’uomo di Siena,è così momentaneamente sparito dalla mia storia, lasciandomi il rimpianto dei suoi racconti e delle sue avventure marinaresche. Aspetto che la tempesta con i suoi soffi brutali passi per ritrovare i venti dai nomi conosciuti, che mi piace tanto ripassare sulla Rosa dei Venti, che tengo appesa in cucina vicino alla finestra. Venti di Maestrale o di Tramontana, che renderanno l’aria trasparente e abbelliranno il cielo con nuvole bianche, gonfie e vaporose di luce, che spazzeranno via le tenebre del Covid 19 e della sua cieca, disumana violenza. Intanto, asserragliati nelle nostre case, aspettiamo di poterci ritrovare e riprendere insieme il tratto di vita che ci ha fatto incontrare. E noi siamo i fortunati, che potranno parlare del prima e del dopo la pandemia. Molti altri non potranno perché la pandemia se li è portati con sé, senza un bacio d’addio, senza che una mano amica tenesse la loro mentre si allontanavano nella tempesta, sofferenti e intubati, in cerca d’aria con il maledetto virus che a caccia di spazi vitali, aveva colonizzato gli interstizi dei loro polmoni. La frase all’americana “Andrà tutto bene”,ripetuta nelle scene madri di tanti flm o sceneggiati hollywodiani ed ora dipinta, disegnata e ripetuta fino all’esasperazione da noi, la potranno dire i sopravvissuti, per le vittime non è andato bene niente e sembra una bestemmia continuare a ripeterla. È andata come è andata e semmai ne usciremo veramente, potremo solo fermarci un istante a ricordare, rimpiangere e piangere tutte quelle lacrime che un nemico così spietato non ci ha nemmeno permesso di versare, abbracciandoci fisicamente in una ritrovata fratellanza che un nemico così crudele ci ha permesso di riscoprire.