L’ annuncio

Ero già arrivata all’ascensore esterno, come una cieca avevo cercato l’uscita dal poliambulatorio sbagliando porte e suscitando l’attenzione imbarazzata degli altri pazienti, che infine mi avevano aiutato indirizzandomi a voce alta verso l’uscita giusta, poi avevo fatto il percorso verso le porte dell’ascensore come in trance e pigiato il pulsante senza vederlo.

“Signora, signora…” non mi rendo conto che mi stiano chiamando.

“Signora…deve tornare all’ambulatorio per pagare…” al mio sguardo assente la segretaria reitera “Signora, deve pagare la visita!”

Finalmente realizzo e mi sento sprofondare dalla vergogna.

“Mi scusi…” balbetto “…tanto dovevo tornare dal dottore…rivederlo all’Istituto…credevo che…”

“Signora questo è un ambulatorio privato, la visita va pagata.”

“Mio Dio che vergogna, mi scusi…ero sprofondata nei miei pensieri…mi dispiace!”

“Non si preoccupi…magari ha avuto una notizia che l’ha messa in agitazione…non si preoccupi.”

Sento un’indifferenza vagamente pietosa nel tono della segretaria mentre la seguo all’ambulatorio per pagare ed avere la ricevuta e sono costretta nuovamente a passare, umiliata come una ladra, davanti agli stessi pazienti che già mi avevano notato per la confusione che avevo fatto nel cercare la via d’uscita.

“Melanoma, sospetto melanoma.” questa la notizia che mi aveva messo in agitazione.

“Sospetto melanoma…vuol dire fifty fifty?!…” ho cercato di respingere il cuneo che mi si stava infilando, duro e acuminato, nel petto, ho frugato nell’espressione del dermatologo per trovarvi una propensione al dubbio che invece le sue labbra serrate smentivano.

“È meglio che venga dopodomani mattina nel mio studio all’Istituto per fare una diagnosi precisa.”

“Al suo Istituto??…ma dov’è?…Roma mi disorienta, non potremmo…”

“Non si preoccupi, è facile, è in fondo alla Pontina, l’aspetto in Istituto per fare la diagnosi e poi, eventualmente, intervenire.”

Sento che la diagnosi sarà positiva: “Mi opererà lei?”

“Sì, certo!”

Con il buio nel cervello, mi ero avviata all’uscita senza trovarla.

Sono per la seconda volta davanti a quell’ascensore esterno incapsulato in una torre di vetro, che mi crea malessere; per la seconda volta premo il pulsante, entro nella sua cabina trasparente, che scivola giù verso i gradini che mi porteranno alla piazza della fontana, dove Alfredo, mio marito, mi sta aspettando in macchina.

“Allora?!?” mi chiede, quando mi siedo rigida accanto a lui.

“C’è un sospetto melanoma alla coscia sinistra.” annuncio con voce incolore “Devo andare all’Istituto dove opera il dermatologo per la diagnosi.”

“All’Istituto???…e dov’è?”

“È facile…c’è l’uscita sulla Pontina.”

Ora ho capito qual è l’Istituto: è quel grande complesso sanitario che guardo sempre, quando, usciti dalla Pontina, ci dirigiamo all’Argentario. “Mai vi metterei piede” pensavo, paventando la necessità di dovermi curare da un tumore “mi sgomenta la sua vastità, meglio morire nel mio ospedalino di Orbetello, fra cielo e laguna!”

Due giorni dopo, col cuore stretto in una morsa, incerta, insicura, sbattuta da un reparto all’altro, da un piano all’altro, da un corridoio all’altro inizio il mio percorso di malata oncologica, circondata da decine di altri malati oncologici, arrancanti nei curvi, labirintici corridoi dell’Istituto come fossero figure senza volto sparpagliate in gironi infernali.

Era la primavera del 2013 e il “futuro” diventò per me una parola incerta.

“2013…E POI!” prosegue con Chirurgia plastica